Dienstag, 28. September 2010

Resistenza: l'essenza della Rivoluzione Islamista

Bonn, settembre - Di fronte al fallimento della "guerra al terrore" e al pasticcio in cui l'amministrazione di Bush ha portato gli Stati Uniti, sarebbe ora per il nuovo presidente Barack Hussein Obama rivedere la politica degli US dalla a alla zeta. Tutte le decisioni prese da Obama riguardanti Guantanamo (per non parlare di Bagram), le torture, le "rendizioni" straordinarie, le prigioni segrete, il monitoraggio a tappeto di corrispondenze elettroniche e telefoniche, sono rimaste ferme. Obama ha smesso di parlare della guerra al terrore: egli semplicemente continua a muoverla. Il nuovo presidente si presenta ogni giorno come una versione aggiornata di Bush: molta retorica, ma poco cambiamento reale.

Il “guardiamo in avanti” non dovrebbe risultare l'unica preoccupazione di Obama. Egli non dovrebbe tralasciare di guardare “indietro” per fare l'inventario dei danni arrecati da Bush al cuore ed all'anima degli Stati Unti, e per assicurare gli istigatori alla giustizia. Nel dibattito sulla tortura, tuttora in corso, Obama ha già perso punti nei confronti dell'ex-vice presidente Dick Cheney, il principale responsabile della questione, per la situazione kafkiana creatasi nel Paese. Oltre a rendere l'America alla legge, e cercare di riparare la reputazione rovinata del Paese, sarebbe di altrettanta importanza la normalizzazione dei rapporti con il mondo islamico.

Le ossessioni anti-islamiche, non soltanto nella classe dominante e nei media, ma anche tra la popolazione, dovrebbero essere ripudiate e stigmatizzate come razziste. Nel suo discorso al Cairo, il presidente Obama si è impegnato a farlo. I musulmani vogliono essere trattati alla pari con chiunque altro. Vogliono che gli USA ritirino le loro forze di occupazione dai Paesi musulmani, quali l'Iraq, Afghanistan e la penisola Arabica. I musulmani d'America dubitano della serietà e della capacità della classe politica americana di comprendere e affrontare le vere cause del conflitto tra l'Occidente ed il mondo islamico.

Il libro “Resistance” (Resistenza) di Alastair Crooke lancia uno sguardo acuto all'interno dell'abisso che si è aperto tra i due “mondi” e Obama e sua moglie Michelle potrebbero trarre dei vantaggi dal leggerlo. Di sicuro lo comprenderebbero, perché il libro affronta l'arroganza occidentale, la sopraffazione, l'ipocrisia ed il razzismo nei confronti dei non-bianchi. E mette in luce ciò di cui parla Frantz Fanon nel suo libro famoso, “Black Skin, White Maks” (Pelle nera, maschere bianche), oppure ciò che Edward Said ha chiamato “orientalismo”, sostituito poi dal “nuovo orientalismo”.

Alastair Crooke, direttore e fondatore del “Conflicts Forum”, rintraccia l'essenza e lo spirito della rivoluzione islamica dalle sue origini in Egitto, passando per la rivoluzione iraniana sino a Hamas e a Hezbollah. I colloqui con numerosi islamisti lo hanno portato a constatare che “il conflitto tra l'Islam e l'Occidente è intimamente religioso”. Le idee cui s'ispirano le politiche dell'Occidente, possono essere tracciate come uno sviluppo lineare, sino dai giorni della lotta del protestantesimo e del puritanesimo contro il cattolicesimo romano.

Le stesse procedure e gli stessi discorsi usati contro i cattolici, sono finiti per essere applicati all'Islam. Crooke cita un membro del clero iraniano che, spiegando la natura del conflitto tra Islam e Occidente, sostiene che esso riguarderebbe l'essere umano. L'Occidente, dice l'uomo religioso, ha tralasciato di riflettere sulle conseguenze generate dalle sue idee e sull'impatto che esse hanno avuto su altri. Il nocciolo del problema, secondo lui, sta nel modo di pensare dell'Occidente, cioè, nel suo “ragionamento su come ragionare”. Questo modo di pensare ha portato l'Occidente a una distorsione del concetto di essere umano. E così l'Occidente ha perso il concetto di centralità della persona umana quale punto di riferimento in funzione del quale progettare il futuro della nostra vita . “Soltanto sulla base di questa introspezione”, dice il religioso iraniano, citato da Crook, “possiamo cominciare ad affrontare ciò che non funziona".

Il libro “Resistance” racconta la storia del percorso fatto dal mondo musulmano per scoprire una rinnovata fiducia in se stesso e una nuova autostima, mettendo fine alle sensazioni di umiliazione derivanti dal disprezzo e dalla demonizzazione. L'Islam non ha nulla a che vedere con il terrorismo o con assalti suicidi, dice Crooke, ma piuttosto con la lotta, giorno per giorno, per la giustizia, per il rispetto dell'essere umano e per la compassione. Gli islamisti contestano l'idea centrale che la modernità occidentale sia portatrice di reale benessere umano. L'autore, inoltre, constata che la resistenza armata di stampo islamista non è, come viene presentato dai media occidentali, una violenza reazionaria diretta contro la modernità, alla quale gli islamisti resisterebbero, o che sarebbero incapaci di assimilare. Il punto d'arrivo della resistenza islamista non è di uccidere occidentali, come fecero i crociati nei confronti dei musulmani, ma di “costringere l'Occidente a cambiare il suo comportamento”.

Il libro si propone, tra l'altro, di spiegare l'essenza della rivoluzione islamista e di ricercare la natura intrinseca dell'islamismo e del suo messaggio. Non si tratta di un libro su Israele e l'Islam, bensì sulla resistenza islamista e l'Occidente. Da questa ottica, il ruolo attribuito a Israele rimane incidentale. Le idee di Crooke sulla resistenza islamista sono alquanto inconsuete e vanno in direzione contraria alle percezioni occidentali. Crooke indica numerose analogie tra il pensiero politico e filosofico islamista da un lato e la Teoria Critica della Scuola di Francoforte dall'altro.

Non dovrebbe sorprendere quindi che Juergen Habermas, della seconda generazione, è letto moltissimo a Teheran. Gli esponenti della Scuola di Francoforte erano i primi ad affrontare questioni di etica, religione, scienza, ragione e razionalità, da una varietà di prospettive. Come gli islamisti, essi argomentavano che alle soglie del diciottesimo secolo il razionalismo strumentale era riuscito ad imporsi alla forma mentis occidentale, permettendo al sapere acquisito per questa via a pretendere un'errata inattaccabilità. Come i religiosi sciiti, i seguaci della Teoria Critica sostenevano che la reificazione del pensiero razionale avrebbe raggiunto un tale livello di radicalità da diventare uno strumento di sopraffazione e di controllo dell'ambiente, della natura e dello stesso essere umano. Andando avanti per questa strada, alla fine si arriverebbe alla spoliticizzazione della politica.

Sebbene sia sopravvissuta la cultura, essa è diventata un impegno privato, segnando stili di vita, ma non un intreccio di riferimenti, norme e regole pubblici. Il libro chiede cosa sia andato storto nell'Occidente dopo l'Illuminismo. Crooke identifica tra i maggiori fattori di decadimento la strumentalità funzionale della Ragione. Questo canone pervade la politica Occidentale, l'economia come la scienza, estraniandosi dal pensiero islamico. L'occidentalizzazione e la secolarizzazione della Turchia, nonché la brutalità con la quale fu conseguita la costituzione del suo stato-nazione, sono diventate sintomi dei peggiori aspetti del modernismo laico. Il mito di un libero mercato, messo in moto da una mano invisibile che avrebbe garantito il benessere dell'uomo, è incompatibile con la dottrina dell'Islam e ne costituisce una minaccia esistenziale.

Un'altra causa di conflittualità deriva dalle differenze di coscienza religiosa vera e propria. Secondo l'autore, per spiegare la dottrina economica dell'Occidente, il concetto dello stato-nazione e i principi ai quali si ispira l'organizzazione della società, vengono addotte le fondamenta della visione cristiana del mondo. Egli distingue anche tra la “resistenza emancipatrice di movimenti quali Hamas e Hezbollah, e la filosofia del 'bruciare-il-sistema-per-ricostruire-ex nuovo' di al-Qaeda e le tendenze escatologiche di alcuni gruppi salafiti”. Crooke sostiene che l'incapacità dell'Occidente di fare questa distinzione, opera a favore dei movimenti piuttosto estremisti. La demonizzazione dell'islamismo, secondo l'autore, non è il risultato di una mancanza di conoscenza da parte dell'Occidente, ma invece, di una “deliberata operazione ideologica”, volta a indebolire il liberalismo per rafforzare la mira americana verso l'“azione decisiva”, quali gli interventi in Medio Oriente dettati dall'agenda neoliberale.

Alla luce della storia, l'immagine dell'America, come nazione ispirata a ideali morali, deve subire una correzione. La realtà racconta una storia diversa. Il discorso amichevole che Obama fece al mondo musulmano al Cairo, impiegando la consueta retorica e annunciando una politica del tipo andiamo-avanti-come-se-niente-fosse-successo”, non ha sortito risultati concreti. Egli ha detto che “i palestinesi devono abbandonare la violenza”, ma non una singola parola è stata pronunciata riguardo la brutalità dell'occupazione israeliana degli ultimi 42 anni, per non parlare dell'abominevole assalto alla Striscia di Gaza.

Alastair Crooke ha abbozzato una strategia politica per l'Occidente, per il suo confronto con il mondo musulmano. Si farebbe bene a non ignorarla. Il messaggio è forte quanto impegnativo, ma molto più realistico che non l'orizzonte tracciato da Obama, quale presunto nuovo inizio verso il mondo
musulmano.

Ludwig Watzal

Traduzione italiana da Susanne Scheidt, pubblicista, Milano.

(Ricercatore, redattore, giornalista a Bonn, in Germania, Watzal è autore di numerose pubblicazioni sul conflitto medio-orientale. E' stato ripetutamente al centro di campagne diffamatorie in patria da parte di gruppi di pressione sionisti per i suoi libri, articoli e commenti volti a informare il pubblico sulla realtà dell'occupazione israeliana della Palestina, piuttosto che alimentare il mito sionista, necessario per mantenere la “relazione speciale” che lega la politica tedesca a Tel Aviv). In inglese qui e qui.